Riprendiamo qui l’argomento della comunicazione cross-culturale, già cominciato nell’articolo precedente “La comunicazione cross-culturale: quando la cultura può mettere a rischio i nostri affari”. Come sottolineato in precedenza, le comunicazioni tra culture differenti, soprattutto in ambito commerciale, richiedono sempre più spesso l’utilizzo di conoscenze trasversali alla sola competenza linguistica. Fondamentale è il riconoscimento di talvolta profonde diversità culturali all’interno del dialogo verbale e non verbale e, più ampliamente, all’interno del contesto comunicativo. L’avvicinamento al contesto comunicativo della nostra controparte non solo ci permette di comprendere a pieno le sue azioni e le sue parole, ma ci offre la preziosa possibilità di un avvicinamento più “umano”, e quindi più ricco e soddisfacente. Molti studiosi si sono dedicati allo studio della comunicazione cross-culturale, soprattutto in termini comparativi, elaborando modelli e teorie che ne spiegassero le dinamiche. Nello scorso articolo abbiamo presentato il Modello a Cinque Dimensioni di Geert Hofstede, secondo il quale esistono diversi gruppi culturali e regionali che influenzano il comportamento di società e organizzazioni.

In questo articolo analizzeremo una seconda teoria fondamentale nello studio della comunicazione cross-culturale è quella ideata da Edward T. Hall, che ha apportato un contributo di natura più antropologica. Hall ha posto l’accento sull’aspetto comunicativo della cultura, esplorando soprattutto le dimensioni micro-culturali, e spesso nascoste, degli atti comunicativi. Secondo Hall, il comportamento è condizionato a livello inconscio da regole informali che riguardano la percezione del tempo e dello spazio, o l’importanza del contesto nella comunicazione, portando così alla luce un tipo di comunicazione “invisibile”, in cui l’invisibile è il modo in cui i gruppi capiscono e interpretano il mondo. Hall ha quindi differenziato tra culture ad alto contesto (High Context Cultures) e culture a basso contesto (Low Context Cultures). L’idea di base è che ci siano culture nelle quali tutto (o quasi) viene esplicitato nella comunicazione e culture nelle quali, al contrario, molto venga dato per scontato e in cui la comunicazione si basa di un implicito background culturale comune.

Le culture ad alto contesto danno appunto molto valore al contesto, ovvero alle emozioni, ai luoghi e alla comunicazione non verbale; di conseguenza un messaggio o una comunicazione si dice ad alto contesto quando la maggior parte dell’informazione risiede nel contesto fisico o è implicita nella persona, mentre assai poco risiede nella parte esplicita, codificata e trasmessa del messaggio. Al contrario chiamiamo comunicazione a basso contesto la trasmissione della maggior parte dell’informazione attraverso il codice esplicito della lingua. Trasponendo il concetto al nostro quotidiano, potremmo dire che la comunicazione familiare o tra amici è ad alto contesto, mentre il confronto formale tra due legali, due politici o due amministratori che scrivono un regolamento è un tipo di comunicazione a basso contesto.

Particolarmente significativa risulta la differenza nella logica del discorso e nello stile argomentativo che, nelle culture a basso contesto, è lineare e diretto, mentre in quelle ad alto contesto è circolare e ambiguo: girare intorno al punto è un modo per metterlo in evidenza con rispetto (per esempio i buddisti o i taoisti ritengono che le cose più importanti non possano essere dette e che il linguaggio verbale serva a comunicare aspetti secondari dell’esistenza).

Sintetizziamo ora le caratteristiche peculiari di entrambe le tipologie di contesto:

In una cultura a basso contesto, come può essere quella scandinava, tedesca o americana:

  • Ciò che si dice è ciò che si vuol dire;
  • La comunicazione è esplicita; vi è una tendenza a costruire messaggi strutturati, a fornire dettagli, a usare termini tecnici;
  • Un linguaggio diretto è più efficiente, problem-solving, e serve ad evitare fraintendimenti; persiste una scarsa capacità di leggere il comportamento non verbale;
  • Lo scopo della conversazione è quello di convincere l’altro, portare avanti la propria posizione, risolvere la questione in modo veloce e chiaro;
  • Le connessioni interpersonali sono transitorie e strumentali;
  • Viene posta enfasi su una logica di tipo lineare, che mira direttamente al nocciolo del problema;
  • Vi è una valorizzazione dell’individualismo.

In una cultura ad alto  contesto, come quella asiatica o araba:

  • Ciò che non si dice, e il modo in cui le cose si dicono, sono egualmente importanti;
  • Vi è una tendenza a produrre messaggi semplici, densi e ambigui;
  • La comunicazione è “ammortizzante”, indiretta, promuove l’armonia e salvaguardia la “faccia”, spesso serve a rinviare;
  • Viene posta enfasi su una logica “a spirale”, che gira intorno al punto;
  • Vi è una valorizzazione della comunicazione non verbale e maggiore sensibilità verso la gestualità e la mimica facciale;
  • Viene dedicato del tempo per costruire e mantenere relazioni sociali durature;
  • I confini sono più rigidi;
  • Le decisioni e le attività si accentrano su relazioni personali, faccia a faccia.
  • Vi è una valorizzazione del senso di gruppo.

Sorprendentemente, quella britannica è una cultura ad alto contesto, soprattutto per quanto riguarda la comunicazione verbale; vi sono infatti alcune caratteristiche della lingua inglese  usate con funzione fatica per mantenere aperta la comunicazione tra due o più interlocutori: gli enunciati di cortesia, i convenevoli e il parlare del più e del meno, come ad esempio le considerazioni sul tempo. I tedeschi, di cultura a basso contesto, tendono a interpretare queste espressioni linguistiche come prive di significato e quindi inutili e, nel caso dei convenevoli, addirittura poco sincere. Gli inglesi, invece, possono percepire il modo di parlare esplicito dei tedeschi, senza tanti giri di parole, come brusco e scortese. Chiedere ad un tedesco “Wie geht es Ihnen?”, ovvero “Come sta?”, come può accadere abitualmente per strada o durante una conversazione al telefono, creerà nell’interlocutore un fortissimo imbarazzo, vedendosi costretto a dare informazioni sul suo stato d’animo o di salute; questo perché nella lingua tedesca chiedere “Come sta?” non è consueto in tutti i tipi di comunicazione, mentre per l’italiano anche nel dialogo con un partner commerciale quasi sconosciuto la domanda fa parte dell’aspettato esordio.

Questo piccolo esempio serve a sottolineare che i concetti di culture ad alto o basso contesto non sono solamente enunciati teorici, ma hanno anzi importantissime conseguenze nel dialogo e nella comunicazione cross-culturale, soprattutto quando si incontrano due culture agli antipodi. Gli effetti possono ritrovarsi:

  • nello stile della comunicazione, rilevabile nel modo di dirigere un’impresa, condurre trattative, di colloquiare (vedi l’esempio precedente relativo al “Wie geht es Ihnen”);
  • nello stile della discussione, ovvero nel modo di esprimere giudizi: i nordeuropei tendono ad essere duri e schietti nei giudizi (es. “Non trovo soddisfacente la sua proposta”), mentre un abitante del sud dell’Europa cercherebbe di sorvolare la critica, ponendo l’accento magari su ipotesi alternative (es. “Forse…, altrimenti potremmo pensare ad un’alternativa…”). Parallelamente, ad esempio per un italiano, interrompere una conversazione è visto come una forma di collaborazione ed interesse verso chi sta parlando, mentre la stessa interruzione verrebbe considerata estremamente sgarbata e rude in Germania;
  • nella comunicazione non verbale: mentre per le culture asiatiche i problemi della comunicazione non verbale riguardano spesso aspetti sociali come ad esempio il rispetto per il potere, per le gerarchie ecc., nelle culture di tradizione cristiana, liberale e democratica, possibili incomprensioni risultano piuttosto provocate da elementi marginali come ad esempio espressioni gestuali, l’uso della voce e gli stili di comunicazione. O ancora, per un italiano la gestualità è parte integrante della trasmissione del messaggio, mentre per un tedesco l’eccessivo uso della mimica, della gestualità e del tono di voce può risultare irritante;
  • nella gestione del tempo, questione fondamentale soprattutto nei rapporti di lavoro; portiamo ad esempio quello di una multinazionale farmaceutica tedesca che ha da poco assunto al suo interno un capo italiano. Oltre quello linguistico, uno dei problemi maggiori è stato quello di conciliare il concetto di tempo tedesco con quello del nuovo capo italiano. Si doveva cambiare completamente l’orario degli appuntamenti. Mentre prima la segretaria era abituata a organizzare un orario precisissimo e fissare gli appuntamenti in modo estremamente rigido, con il nuovo capo tutto funzionava diversamente: i famosi “cinque minuti” che lui concedeva in più ad un suo interlocutore diventavano non raramente due ore, e tutto l’orario veniva sconvolto. Il capo, da parte sua, soffriva della norma di puntualità che gli impediva di risolvere bene un problema prima di affrontare il successivo. Dopo un periodo d’incomprensione, la segretaria si è resa conto che l’efficienza non si conta sulla quantità degli appuntamenti svolti, bensì sui risultati concreti conclusi con calma e concentrazione.

Questa divisione del tempo viene definita monocronica nel caso tedesco e policronica nel caso italiano. Con un concetto monocroico di tempo si intende un alto grado di pianificazione e segmentazione del tempo, soprattutto nella divisione tra tempo lavorativo e tempo libero, o nella distinzione piuttosto netta tra tempo per gli affari e quello per i contatti sociali. Questo modello viene considerato dominante nei paesi nordeuropei o negli Stati Uniti. Il modello policronico si riferisce invece ad una minore segmentazione del tempo, all’abitudine di affrontare più cose contemporaneamente e a non dividere nettamente il tempo lavorativo da quello dedicato ai contatti sociali. Tendenzialmente questo concetto di tempo sarebbe più diffuso nei paesi meridionali, arabi e sudamericani. È significativo notare come nel primo modello la puntualità abbia grande importanza mentre nel secondo conti poco, e che nel primo caso la programmazione del futuro sia indispensabile (e il passato venga visto come di poco interesse perché chiuso); nel secondo caso, al contrario, l’anticipazione di quello che potrebbe accadere nel futuro è meno centrale rispetto al passato. Quando si incontrano persone appartenenti a culture con modelli di tempo opposti, le incomprensioni sono inevitabili se l’incontro non prende in considerazione un’adeguata preparazione (Nienhaus, 2008).

Appurate queste differenze e accettato il fatto che adeguarsi alle diverse abitudini e usanze del nostro interlocutore non può che venire a nostro vantaggio, cosa fare in senso più pratico?

  • Essere puntuali: abbiamo già spiegato che “essere in orario” per un italiano è un concetto flessibile, ma quando si ha a che fare con partner stranieri, la puntualità non è un optional;
  • evitare di fare domande personali ad un partner di cultura monocronica; al contrario, per un soggetto di cultura policronica sarà molto gradevole poter approfondire la conoscenza parlando anche di temi privati, come la famiglia o gli interessi personali;
  • ogni popolo ha i propri temi tabù che sono assolutamente da evitare; basterà una piccola ricerca preliminare per scoprire, ad esempio, che è fortemente sconsigliato parlare di politica con un cinese;
  • lo scambio dei biglietti da visita è un rituale per i paesi orientali, Cina e India in primis. È molto apprezzata anche la traduzione del biglietto da visita nei caratteri della lingua locale. Porgete il biglietto da visita esclusivamente con la mano destra nei paesi di cultura musulmana poiché la sinistra è considerata impura;
  • con un partner di affari di cultura policronica farà colpo curare il contesto nel quale avvengono gli incontri: una bella location, un ristorante rinomato. Al contrario, per un partner di cultura monocronica, saranno ben più importanti i dati, le informazioni, le statistiche e la puntualità;
  • evitare di porre domande chiuse (la cui risposta può essere solamente sì o no) ad un interlocutore asiatico: non li sentirete mai dire un no, poichè per loro è molto importante non deludere la persona che hanno davanti; ma al contempo anche un sì non significa necessariamente sì;
  • non tutti i popoli amano il contatto fisico, soprattutto gli orientali. Anzi, spesso la stessa concezione di spazio personale differisce.

Questi sono solamente suggerimenti, e per quanta teoria si possa studiare, per quante ricerche si possano svolgere, il vero segreto sta nella pratica: solamente attraverso l’esperienza potremmo migliorare la nostra capacità comunicativa con persone di cultura diversa. È fondamentale tenere a mente che davanti a noi abbiamo una persona, diversa da tutte le altre che abbiamo incontrato; questa persona è il risultato di vari fattori, non solo culturali, ma dovuti all’ambiente in cui è cresciuto, all’educazione che ha ricevuto e alla propria personalità. Non dimentichiamoci quindi di mantenere sempre un atteggiamento aperto e curioso nei suoi confronti e conservare l’interesse a conoscerlo.

Le teorie sulla comunicazione interculturale forniscono solamente una linea guida, ma non bisogna utilizzarle per costruire generalizzazioni o stereotipi, che anzi sono il peggior presupposto di una comunicazione efficace. Un buon consiglio è quello di osservare il proprio interlocutore ed “imitarlo” utilizzando la tecnica dello specchio, ripetere il linguaggio del corpo, il tipo di parole che utilizza, come gestisce la conversazione. Noteremo, ad esempio, che un orientale difficilmente guarderà il proprio interlocutore negli occhi, gesto percepito come segno di sfida; adattarci al suo comportamento lo metterà a proprio agio, e creerà un ambiente più rilassato e amicale. In ultimo rispettare sempre chi abbiamo davanti, ascoltarlo con empatia e provare a metterci nei suoi panni.

Riferimenti

Nienhaus, S. (2008). Comprensioni e malintesi nella comunicazione interculturale. Un esempio dell’incontro tra tedeschi e italiani. Studi di Glottodidattica, 2, 86-100.