Introduzione

Alla base dell’attuale sviluppo della pianificazione finanziaria possiamo riconoscere due fondamentali tendenze: da un lato il rafforzarsi della programmazione come variabile strategica per concorrere in un contesto altamente competitivo ed in costante mutazione,  dall’altro la concezione dell’azienda non solo come produttrice di beni e servizi, ma soprattutto come entità che genera (ma talora distrugge) risorse finanziarie, coerentemente con il principio per il quale l’ottenimento di ricavi superiori ai costi rimane condizione necessaria, ma non più sufficiente, affinché la performance aziendale possa dirsi soddisfacente. Non solo quindi equilibrio economico, ma anche finanziario, dato che l’impresa genera oltre a grandezze economiche anche flussi di moneta, i quali influiscono sulla redditività, sul tasso di rischio e di conseguenza sul valore intrinseco dell’attività economica in questione (Rosin, 2012).

L’obiettivo del presente articolo è duplice. Da un lato mostrare come tramite la Pianificazione Finanziaria sia possibile incrementare la qualità del rapporto banca-impresa, dall’altro evidenziare i passaggi chiave per implementare efficacemente in azienda una corretta Pianificazione Finanziaria.

Le informazioni come leva per il credito

L’importanza attribuita all’equilibrio finanziario è frutto di un processo iniziato fin dagli anni ‘50 del secolo scorso (Rosin, 2012), pur essendo stato a lungo ignorato dalla grande maggioranza delle piccole e medie imprese italiane, tradizionalmente focalizzate più sull’approvvigionamento di risorse finanziarie a buon mercato piuttosto che sulla solidità ed affidabilità delle fonti stesse (Giovanelli, 2012).

Se infatti fino a non molti anni fa il termine finance era generalmente inteso come sinonimo di tesoreria, oggi significa invece pianificazione finanziaria, ovvero quell’insieme di attività volte a creare strumenti e generare report che soddisfino sia il bisogno di informazioni proprio degli stakeholders esterni all’azienda (istituti di credito in primis), sia le esigenze di gestione e controllo proprie del management aziendale.

Alcuni cambiamenti sulla scena internazionale hanno infatti obbligato anche le realtà aziendali italiane di dimensioni minori a modificare tale atteggiamento: la crisi economica ed i criteri dettati da Basilea III hanno infatti accentuato le problematiche legate alla gestione finanziaria, rendendo gli istituti di credito sempre più attenti  a selezionare le aziende non solo sulla base delle loro performance economiche, ma anche delle loro prospettive di sviluppo futuro e delle loro capacità di generare cassa nel breve e medio periodo, informazioni che le aziende non di rado faticano a fornire loro.

Se infatti da un lato le imprese manifestano la sensazione di una generale contrazione del credito e sostengono di non comprendere tutti i tecnicismi attivati dalle banche per gestire la richiesta di un credito, a loro volta le banche affermano di non possedere tutte le informazioni necessarie al fine di una corretta valutazione dell’azienda. Quindi oggi occorre, più che in passato, rimuovere tutte le barriere che determinano l’asimmetria informativa esistente, attivando accorgimenti che consentano di produrre informazioni chiare e dettagliate da presentare alle banche, in modo da fare loro comprendere pienamente il valore dell’impresa. Solo in questo modo gli istituti di credito saranno nelle condizioni di poter attribuire il giusto rating all’azienda in questione, senza dover ricorrere a politiche di tutela.

In generale il rating esprime un giudizio sull’affidabilità di un’impresa (o anche di una persona fisica), più precisamente la sua capacità di ripagare un prestito in un determinato periodo di tempo. In altri termini si tratta di una valutazione sintetica del suo profilo di rischio di credito. Il rating è quindi un indicatore fondamentale ai fini della concessione del credito, conseguenza diretta dei vari accordi di Basilea che hanno introdotto questo strumento nei processi di valutazione delle banche. Ne deriva un sostanziale obbligo da parte delle imprese richiedenti credito di conoscere le informazioni utilizzate dalle banche per attribuirlo e le leve manageriali attivabili per migliorarlo nel tempo, se vogliono migliorare la possibilità di ottenere credito e a condizioni più favorevoli. L’attribuzione del rating è un processo complesso e articolato, risultante da una serie di analisi e valutazione dei fattori di rischio che condizionano l’effettiva possibilità di un’azienda di restituire il credito ricevuto. Ciascuno di questi fattori, opportunamente ponderati, contribuiscono a determinare la classe di merito complessivo (rating) dell’impresa.

Per arrivare a questo risultato di sintesi la banca utilizza informazioni di tre tipi: quantitative, qualitative e andamentali. L’analisi delle informazioni di tipo quantitativo si concentra sulla capacità dell’impresa di generare nel tempo flussi di cassa positivi, mantenendo un’equilibrata struttura patrimoniale e finanziaria e livelli di redditività soddisfacenti. L’aspetto che viene sottolineato in questa analisi, e che conferma una tendenza in atto da alcuni anni, è dato dalla rilevanza assegnata alla componente finanziaria rispetto a quella economica della gestione aziendale. Ovviamente l’analisi dell’economicità complessiva del business non perde valore ma non è più l’unico (né il principale) criterio di valutazione come storicamente è stato. Sempre più ciò che interessa i terzi prestatori, ed in particolari il sistema bancario, è soprattutto la capacità dell’impresa di generare flussi finanziari, per quello che viene chiamato il servizio al debito. Quello che interessa, al di là dei buoni risultati del conto economico (misurati in termini di fatturato, EBITA, EBITDA, ecc.), è che ci sia sufficiente liquidità per onorare le scadenze concordate (misurabile sostanzialmente attraverso il cash flow che la gestione è in grado di generare). L’analisi delle informazioni di tipo qualitativo analizza invece fattori ambientali ed organizzativi che caratterizzano l’impresa e che possono condizionare nel futuro il suo profilo di solvibilità. Si tratta in particolare di analisi relative a: qualità della gestione, composizione della proprietà, capacità progettuale, organizzazione sottostante a supporto dei piani aziendali, ecc. Ciò detto, occorre anche tenere presente che il peso di questa parte del rating varia moltissimo in funzione della dimensione aziendale: se da un lato questa ha una discreta rilevanza in imprese medio-grandi o multinazionali, al contrario in imprese di piccole e medie dimensioni, o addirittura per clienti privati, questi fattori hanno un peso molto modesto. L’ultima tipologia di informazioni analizzate è quella andamentale, che più da vicino si occupa del comportamento del cliente nei confronti del sistema bancario. Viene definita andamentale perché rappresenta la storia del rapporto del cliente con la banca e più in generale con tutti gli intermediari finanziari. Diventano quindi fondamentali l’andamento dei prestiti nel corso del tempo, l’eventuale tendenza a “sforare” rispetto al credito concesso e i tempi di “rientro”. Tali fattori di valutazione sono basato su due fonti di informazione: i rapporti precedenti con l’istituto di credito che calcola il rating e, soprattutto, i dati desumibili dalla Centrale dei Rischi che riassumono le informazioni su tutti i rapporti di una certa impresa con l’insieme del sistema bancario.

Le varie tipologie di rating hanno pesi diversi in funzione della dimensione aziendale: sulla base di informazioni raccolte in diverse banche (afferenti a gruppi differenti) è emerso come per i clienti corporate l’analisi quantitativa pesi per il 50%, la qualitativa per il 10% e l’andamentale per il 40%, mentre come per le small business la quantitativa rilevi solo al 10%, la qualitativa al 5% e l’andamentale all’85%: è possibile però notare che l’importanza dell’analisi andamentale è elevata a prescindere dalle dimensioni dell’impresa. Per questo motivo il rating andamentale assume assoluto rilievo nella valutazione finale. Infatti, in sostanza ed indipendentemente dalle dimensioni e tipologia aziendale, che cosa interessa realmente al sistema bancario? Con una battuta si potrebbe rispondere “Tutto”, ma se si dovessero scegliere gli indicatori più analizzati si potrebbe dire che alle banche interessa principalmente: il numero degli affidamenti, la percentuale di utilizzo degli stessi, le percentuali di insoluto, i ritardi nei pagamenti e l’entità di eventi anomali, ossia l’affidabilità dell’interlocutore nei rapporti con le banche stesse. Concludendo, è importante ribadire il fatto che le imprese abbiano l’assoluta necessità di avere sotto controllo tutte le variabili e tutte quelle dinamiche che possono incidere sul rapporto con le banche. Il controllo gestionale, così come deve essere tempestivo ed efficace nell’analisi economica, deve completarsi con adeguata tempestività ed efficacia sulla pianificazione finanziaria di breve medio e lungo periodo, perché possa consentire all’impresa di governare, fra le altre grandezze, anche il proprio rating.

Inoltre non si deve sottovalutare il ruolo che le informazioni prodotte in primis a beneficio degli istituti di credito possano svolgere per il business nel suo complesso: se da un lato le informazioni prodotte risultano fondamentali nel rapporto con gli istituti di credito, dall’altro l’implementazione degli strumenti e dei processi per ottenerle consente all’azienda di avere sempre disponibili maggiori informazioni e indicazioni da utilizzare a sostegno della definizione delle scelte strategiche e dei propri programmi di sviluppo. Per questo diventa sempre più necessario che le imprese, nell’effettuare adeguate analisi sulla propria struttura economica-finanziaria e patrimoniale, interiorizzino la necessità di predisporre meccanismi di pianificazione, ancora prima di ricevere sollecitazioni dall’esterno, arricchendo così le attività tradizionalmente svolte dalle funzioni aziendali di controllo di gestione e tesoreria, e quindi ampliando gli ambiti di intervento del CFO.

Le caratteristiche della pianificazione finanziaria

La pianificazione finanziaria è un processo articolato in diverse fasi (Brealey & Myres, 1993):

  • valutazione delle opportunità di investimento e finanziamento a disposizione dell’impresa;
  • analisi e sistematizzazione delle conseguenze che ognuna di tali opportunità avrà sul futuro dell’impresa, in ottica di coerenza tra l’oggi e le prospettive future (analisi “what if”);
  • scelta tra le alternative possibili;
  • confronto tra i risultati effettivamente raggiunti e quanto predefinito in sede di pianificazione.

La pianificazione finanziaria si delinea infatti per essere in primo luogo un processo iterativo, volto a generare un circolo virtuoso tra pianificazione e controllo. Il monitoraggio trova piena espressione nel rendiconto finanziario, report con il quale si mettono in luce i risultati della gestione finanziaria del periodo analizzato, mentre è il piano dei flussi finanziari il documento con il quale la direzione aziendale guarda al futuro in ottica proattiva, delineando il percorso ritenuto migliore per correggere gli errori commessi nel passato e/o consolidare i risultati raggiunti (Dalena, 2015).

L’importanza del rendiconto finanziario è stata da qualche anno sancita anche dallo stesso Organismo Italiano di Contabilità, che nell’agosto 2014 ha pubblicato un nuovo principio contabile, OIC 10, con il quale sono state esplicate le linee guida per assolvere l’obbligo di includere, per le aziende che redigono il bilancio in forma ordinaria, il Rendiconto Finanziario all’interno del Bilancio; in questo modo il quadro tradizionalmente delineato da Conto Economico, Stato Patrimoniale e Nota integrativa  si completa  con le informazioni riguardanti la variazione delle risorse finanziarie a disposizione dell’impresa, calcolate rispetto il capitale circolante netto, il margine di tesoreria, la posizione finanziaria netta e le disponibilità liquide in cassa e presso banche  (Fiore, 2014).

Altro elemento da definire è l’orizzonte temporale nel quale si va ad articolare il processo di pianificazione: accanto infatti alla pianificazione di breve, con la quale le aziende cercano di massimizzare i risultati derivanti dalla gestione del proprio capitale circolante, si affianca la pianificazione di medio e lungo periodo, di più ampio respiro (Brealey & Myres, 1993). La pianificazione finanziaria, imprescindibile dal ciclo economico-patrimoniale nella quale è inserita, può infatti essere classificata applicando come criterio l’orizzonte temporale al quale si riferisce:

  • pianificazione ML pluriennale, volta a definire il ciclo economico-patrimoniale e finanziario dell’azienda assumendo come orizzonte temporale dai 3 ai 5 anni e dettaglio dei risultati annuo;
  • pianificazione ML annuale, con la quale ci si pone in un orizzonte temporale compreso tra i tre mesi e l’anno e per la quale si producono report con dettaglio mensile;
  • Cash Liquidity, per la programmazione di breve, entro le otto settimane, con dettaglio settimanale o, se necessario, anche giornaliero.

Come evidenziato da Brealey e Myres (1993), è la programmazione di lungo periodo che influisce su quella di breve, dato che l’azienda può investire il surplus di cassa solo nel momento in cui il fabbisogno di breve periodo è inferiore alla copertura offerta dalle fonti di finanziamento di lunga durata, mentre è quando i finanziamenti di lungo periodo non sono sufficienti che l’azienda ricorre a fondi di credito con scadenze ravvicinate.

Coerentemente con le diverse prospettive temporali nelle quali opera, la pianificazione finanziaria risponde ad una duplice esigenza: nel breve termine serve per garantire la liquidità dell’azienda (Bonamini, 2012), soddisfando quindi un bisogno di tipo economico-organizzativo volto a realizzare, tramite una gestione accurata della stesa, economie anche rilevanti, risparmiando sia sugli oneri finanziari sia sull’onerosità amministrativa della gestione dei processi (Delgrosso & Nicastro, 2012); la pianificazione di medio-lungo periodo ha invece come obiettivo principale quello di garantire la solvibilità dell’azienda (Bonamini, 2012), rispondendo ad un fabbisogno informativo volto a comprendere le evoluzioni della PFN aziendale nel tempo, gli oneri finanziari che da questa deriveranno, la sostenibilità finanziaria della crescita economica programmata, le conseguenze sull’equilibrio finanziario nel caso di variazioni sui ricavi e/o sulla marginalità attesi (Delgrosso & Nicastro, 2012). Al proposito si sottolinea come la pianificazione finanziaria non possa essere ridotta ad una mera previsione dei risultati più probabili, quando invece è importante che tutti gli eventi possibili siano presi in considerazione e che soprattutto si preveda per ogni scenario ipotizzato un adeguato piano per gestirlo. Ovviamente non si pretende che chi si occupi di pianificazione finanziaria possa prevedere ogni possibile accadimento, ma piuttosto che il processo di pianificazione in atto si configuri come lo strumento attraverso il quale la direzione valuti quali rischi sia accettabile assumere e quali al contrario debbano essere, nei limiti del possibile, evitati (Brealey & Myres, 1993).

Evidenziati i caratteri salienti della gestione finanziaria, rimane da chiarire il rapporto sussistente tra questa e l’attività economica, rispetto il quale possono essere individuati in letteratura due diversi orientamenti (Rosin, 2012). La concezione più tradizionale, di scuola aziendalista, ritiene che lo scopo primario del piano finanziario sia quello di quantificare e rendere disponibili le risorse monetarie necessarie per sviluppare appieno il business plan sottostante; tale relazione si inverte invece nel momento in cui si concepisce la gestione finanziaria come lo strumento attraverso il quale rendere l’azienda competitiva sul mercato dei capitali: in tal ottica è la gestione economica ad essere posta al servizio della finanza, la quale di conseguenza tenderà a caratterizzarsi per livelli di indebitamento più aggressivi (Rosin, 2012). In questa sede tuttavia non si vuole comprendere se esista e quale sia l’approccio migliore, ma semplicemente sottolineare come il processo di pianificazione finanziaria passi in primo luogo da una condivisione del suo ruolo nella più ampia strategia aziendale.

Altro elemento cardine affinché un’organizzazione aziendale possa implementare con successo un processo di pianificazione aziendale è la presenza di una cultura manageriale improntata al costante monitoraggio dei dati economico-patrimoniali, ovvero orientata ad efficientare il tradizionale processo di chiusura del bilancio unendo efficienza e fattibilità in ottica di fast closing (Bragg, 2009).

Ai fini del presente lavoro, il fast closing rileva infatti non solo in quanto strumento atto ad ottenere i dati consuntivi dai quali partire per sviluppare la pianificazione finanziaria, ma soprattutto in qualità di processo che favorisce in azienda lo sviluppo di un’impalcatura informativa ed organizzativa sulla quale si basa la pianificazione finanziaria stessa. Come infatti evidenziato da Negro (2015), il fast closing può rivelarsi uno strumento particolarmente utile non solo perché permette al management di assumere decisioni sulla base di informazioni recenti e consistenti, ma anche in quanto va a migliorare l’organizzazione del lavoro del controller e dell’intero staff amministrativo, evitando il presentarsi di picchi di lavoro difficilmente gestibili. Inoltre il raggiungimento di risultati di fast closing richiede un’ottima e capillare gestione dei flussi operativi, oltre che una piena interoperabilità tra i diversi sistemi implementati, tutti elementi che, come si approfondirà nel prossimo paragrafo, costituiscono una base imprescindibile per l’implementazione di una corretta gestione e pianificazione dei flussi finanziari.

La pianificazione finanziaria: un approccio operativo

Definiti il frame socio-economico all’interno del quale la pianificazione finanziaria ha progressivamente assunto valore e le caratteristiche fondamentali di questa, si forniscono, pur senza pretese di esaustività, indicazioni di carattere operativo per lo sviluppo di una corretta pianificazione finanziaria. Data la relazione sussistente tra pianificazione di breve e di lungo sopra esposta, si ritiene opportuno partire da quest’ultima.

Un piano economico finanziario e patrimoniale di medio-lungo periodo può essere sviluppato solo disponendo delle informazioni rintracciabili in tre distinte classi di dati:

  • dati di consuntivo;
  • saldi di apertura;
  • dati di budget.

Il consuntivo rappresenta il punto di partenza per la pianificazione finanziaria. Costituiscono dati di consuntivo tutti quei dati riferiti ad eventi passati che hanno avuto piena manifestazione nel passato; sono quindi inclusi in questa categoria i bilanci infrannuali e annuali, così da permettere l’individuazione della situazione patrimoniale di apertura e, nel caso di una ripartenza infrannuale, anche l’andamento economico.

Rientrano invece nei dati relativi ai saldi di apertura (indicati d’ora in avanti, per evitare equivoci, come dati di opening balance) quei dati riferiti ad eventi passati i cui effetti finanziari si avranno tuttavia nel futuro; l’opening balance rappresenta la ricaduta del passato verso gli esercizi futuri, fornendo dunque la misura dello sviluppo economico, patrimoniale e finanziario dell’ultimo stato patrimoniale consuntivo. Da un punto di vista strettamente operativo, lo sviluppo di un opening balance attendibile deve sia gestire correttamente gli scadenziari attivi e passivi, sia identificare e monetizzare altri conti patrimoniali che non hanno ancora avuto manifestazione finanziaria (in particolare si consiglia di monitorare: debiti vs dipendenti, debiti vs Inps, Debiti vs erario Irpef, Debito vs erario per IVA, Debiti per fatture da ricevere, Debiti di finanziamento mutui/ finanziamenti/leasing, Crediti per fatture da emettere, Portafoglio Riba).

Infine vi sono i dati di budget, ovvero dati riferiti ad eventi futuri sia da un punto di vista economico che finanziario. Il budget si articola in budget economico, finanziario e degli investimenti: affinché il budget sia redatto in forma puntuale, è fondamentale che vi siano definiti in modo coerente elementi quali la curva di fatturato, i tempi di incasso e pagamento, la distribuzione delle entrate ed uscite nelle singole unità temporali considerate (tipicamente mesi), i requisiti richiesti dagli istituti di credito per ammettere gli effetti e le conseguenze di questi sul fabbisogno finanziario (scontabilità), il costo del denaro, i versamenti dell’IVA e delle imposte dirette. Al proposito si sottolinea come siano da evitare il più possibile valori medi, soprattutto in presenza di varianze notevoli: il piano dei conti deve essere sviluppato mirando al miglior equilibrio possibile tra la necessità di gestione dei dati (che devono rimanere in quantità governabile) ed esigenza di evitare fallaci semplificazioni.

Raccolte le basi dati necessarie, l’attività di pianificazione di medio-lungo periodo può procedere come segue:

  • Analisi preventiva del rispetto di obiettivi e vincoli strutturali (indebitamento complessivo, dividendi distribuibili, utilizzo affidamenti / affidamenti totali, ecc.);
  • Utilizzo dell’approccio simulativo in logica «What if» per testare i diversi possibili scenari strategici, utilizzando come leve elementi del Budget economico e/o del il Budget investimenti e/o parametri quali ad esempio Tempi di incasso e Insoluti, Tempi di pagamento, Tassi di interesse a breve termine, Tassi di interesse a medio/lungo termine, Tassi di cambio;
  • Verifica della compatibilità e della sostenibilità finanziaria dei programmi operativi di esercizio;
  • Elaborazione del fabbisogno / surplus finanziario di Budget;
  • Analisi preventiva della gestione del circolante e definizione di relativi KPI target.

I risultati del lavoro svolto confluiscono poi in più report:

  • Il Cash Flow, per mettere in evidenza la PFN a breve e medio-lungo periodo; per ottenere un maggior dettaglio si consiglia di procedere suddividendo i report di cash flow come segue:
    • Gestione caratteristica;
    • Gestione Investimenti di struttura;
    • La gestione indebitamento a ML;
    • La gestione indebitamento a BT;
    • Gli oneri e proventi finanziari;
    • I saldi, gli affidamenti e le coperture.
  • Scontabilità;
  • Fonte impieghi, per evidenziare in ogni unità di tempo considerata quelli che sono gli impieghi a cui l’azienda deve far ricorso e le relative fonti di finanziamento a copertura di tali impieghi;
  • Rendiconto Finanziario Indiretto, per analizzare la dinamica finanziaria nel suo complesso;
  • Stato patrimoniale e conto economico, per render conto di come le scelte finanziarie impattino rispettivamente sulla situazione patrimoniale ed economica dell’azienda;
  • Rating quantitativo, così da anticipare il giudizio degli istituti di credito.

Definita la strategia di più ampio respiro, è necessario definire settimana per settimana, se non con cadenza giornaliera, quale sia il deficit o il surplus di cassa aziendale e, di conseguenza, stabilire quale sia la strategia migliore per gestirlo.

Per la corretta gestione della cash liquidity, le fonti dati possono essere raggruppate in due macro-categorie: da un alto i dati di consuntivo, tra i quali si sottolineano la situazione dei saldi bancari e degli affidamenti, dall’altra gli scadenziari, con riferimento sia alle scadenze di pagamento e di incasso sia agli altri flussi previsti per assolvere i debiti aziendali sui quali, almeno nel breve periodo, non è possibile intervenire (si pensi, a mero titolo esemplificativo, ai flussi verso dipendenti o a favore dell’erario).

La gestione dell’aggiornamento degli attributi è determinante per una corretta pianificazione finanziaria: anche in questo caso è necessario trovare il giusto equilibrio tra necessità di gestione dei dati ed affidabilità e precisione degli stessi. In particolare risulta efficace non solo la data scadenza, ovvero la data alla quale si dovrebbe effettuare o ricevere il pagamento, ma anche la data valuta, ovvero la data effettiva nella quale si ritiene maggiormente probabile che l’incasso o il versamento avranno effettivamente luogo. Il tal modo è possibile programmare piani di rientro, qualora necessari, oltre ad andare a riposizionare le scadenze per cliente e/o fornitore. Per ordinare qualitativamente i diversi clienti/fornitori, uno strumento particolarmente utile prevede l’attribuzione ad ogni cliente/fornitore di un rating, che rappresenta la qualità della scadenza in questione, ovvero il grado di certezza per le scadenze attive ed il grado di importanza per quelle passive. Per esempio, le scadenze lato clienti possono essere suddivise tra incassi certi, probabili ed inesigibili, mentre lato fornitori si può realizzare un rating speculare suddividendo quest’ultimi in fornitori strategici, ordinari e quelli con i quali è in corso un contenzioso. Si tratta di un esercizio non privo di risvolti pratici, dato che un’accurata ricontrattazione dei tempi di pagamento ed incasso può anche consentire di uscire da momentanee crisi di liquidità senza il sostegno di alcun istituto di credito (Lazzari, 2009).

Anche in questo caso è infatti consigliabile l’utilizzo di un approccio “what if”, che agendo sulle leve a disposizione vada a sviluppare diversi prospetti di cash liquidity: in tal modo è possibile sviluppare soluzioni in grado di combinare diversi sistemi per fronteggiare i deficit/surplus di cassa di breve periodo, integrando così la pianificazione di breve con quella di medio-lungo periodo.

Riferimenti

Bonamini. (2012). ASPETTI GENERALI DELLA FUNZIONE FINANZIARIA. LA GESTIONE FINANZIARIA, LA SUA PIANIFICAZIONE E IL BUSINESS PLAN. Carrara: Camera di Coomercio di Massa-Carrara .

Brealey, R., & Myres, S. (1993). Principi di finanza aziendale. Milano: McGraw-Hill Libri Italia S.r.l. .

Dalena, P. (2015). Flussi finanziari e processo di pianificazione: il caso Food Italia S.p.A. Amministrazione&Finanza, 3-19.

Delgrosso, M., & Nicastro, A. (2012). Tesoreria e pianificazione finanziaria: l’approccio della Delgrosso SpA. Amministrazione&Finanza, 62-69.

Fiore, G. (2014). Il rendiconto finanziario con l’utilizzo di excel. Amministrazione&Finanza, 33-43.

Giovanelli, D. (2012). La centralita ` del cash flow nelle scelte d’impresa. Amministrazione&Finanza, 49-67.

Lazzari, M. (2009). Come uscire dalla crisi finanziaria senza ricorrere alle banche. Amministrazione&Finanza, 83-89.

Negro, M. (2015). Le sfide deL processo di chiusura contabiLe e iL LabiLe confine tra amministrazione e controllo di Gestione. Controllo di gestione, 5-11.

Pomer, M. (2010). Strumenti di corporate performance management a supporto della pianificazione finanziaria. Amministrazione&Finanza, 3-15.

Rosin, R. (2012). Business planning, strategia e valutazione finanziaria. Milano: Ulrico Hoepli Editore S.p.a.